La dottrina del risveglio
Edizioni Mediterranee
Roma, 1995
IV 'edizione corretta'
in "Opere di Julius Evola"
in "Opere di Julius Evola"
A cura di Gianfranco De Turris
* * *
EDIZIONE ORIGINALE:
JULIUS EVOLA
La dottrina del risveglio.
Saggio sull'ascesi buddhista
Edizioni Laterza
Bari, 1943
<<Con quel libro ho pagato un debito che avevo nei riguardi della dottrina del Buddha, che ebbe un'influenza decisiva (...) per il superamento della crisi interiore che attraversai subito dopo la prima guerra mondiale (...) In seguito, dei testi buddhisti feci anche un uso pratico e realizzativo quotidiano, per alimentare una coscienza distaccata del principio 'essere'. Da colui che era stato un principe dei Shâkya era stata indicata una linea di discipline interiori che io sentivo tanto congeniali, quanto invece sentivo estranea la linea dell'ascesi a base religiosa e soprattutto cristiana...>>
JULIUS EVOLA, da Il cammino del cinabro (1963, a proposito de La dottrina del risveglio)
<<In fatto di metodo e di insegnamento, nei testi originari vediamo dunque che il Buddha espone la verità come egli l’ha scoperta, senza imporsi a nessuno né ricorrere a mezzi estrinseci per persuadere o "convertire". «Chi ha occhi, vedrà le cose» – è la formula sempre ricorrente nei testi. «Venga da me un uomo intelligente – è scritto – non tortuoso, non simulatore, un uomo dritto: io l’istruisco, gli espongo la dottrina. Seguendo l’istruzione, dopo non molto tempo egli stesso riconoscerà, egli stesso vedrà, che così invero ci si libera completamente dai vincoli: dai vincoli, cioè, dell’ignoranza». Segue il paragone del bambino che si libera gradamente dagli impedimenti, paragone del tutto corrispondente a quello della "maieutica" platonica, dell’arte di aiutare le nascite. Ed ancora: «Io non vi sforzerò, come il vasaio con la creta cruda. Riprendendo riprendendo, io parlerò, premendo premendo. Chi è sano resisterà». Del resto, l’originaria intenzione del principe Siddharta, una volta conseguita la conoscenza della verità, era di non comunicarla a nessuno, non per malanimo, ma riconoscendone la profondità e prevedendo l’incomprensione dei più. Venuto poi a riconoscere che in fondo vi sono anche più nobili nature, menti meno offuscate, per compassione espone la dottrina, mantenendo però sempre distanza, distacco e rispetto. Che i discepoli vengano o meno a lui, che seguano o no i precetti ascetici, «sempre lo stesso egli rimane». Ecco il suo stile: «Conoscere la persuasione e conoscere la dissuasione; conoscendo la persuasione e conoscendo la dissuasione non persuadere e non dissuadere: esporre solo la realtà»...>>
JULIUS EVOLA, da La dottrina del risveglio (1943)
JULIUS EVOLA con uno splendido monocolo nella foto tratta dall'articolo Julius Evola sul sito filosofico.net
Per una nota biografica rimando al sito ufficiale
della Fondazione Julius Evola:
<<Spesso, incontrando un personaggio così 'antipatico' e controverso come Evola ci si domanda - forse solo prosaicamente - chi mai sia stato. Dove 'il chi è stato' non equivale a 'come si vuole che sia stato' in bene o in male, fermo restando l'insondabile mistero dell'animo umano. Di Evola, in fondo, il lettore comune sa ben poco. Sostanzialmente sa quello che i mass media ne hanno scritto: ossia notizie scarse e per lo più travisate. Nella grande maggioranza dei casi viene assimilato ai più importanti ideologi del fascismo (...) Ebbene, Evola è tutt'altra persona...>>
CLAUDIO BONVECCHIO, da Chi era veramente Evola?, nell'articolo 'Evola e l'Impero interiore: una fine e un inizio (seconda parte)', sul sito juliusevola.it, di cui posto il link poiché è davvero notevole:
<<Questa è una tesi su Julius Evola. Julius Evola il filosofo proibito, Julius Evola il ghibellino feroce, Julius Evola il mago Otelma della destra, Julius Evola il barone nero, Julius Evola il cattivo maestro per antonomasia, Julius Evola il padre spirituale di una conventicola di esaltati, Julius Evola il negromante del fascismo, Julius Evola il razzista totalitario, il nazista, il satanista, il mago, l’aristocrate, lo kshatriya, il teurgo, l’uomo differenziato, l’uomo della Tradizione, il pittore, il poeta… Julius Evola è morto. Un’aquila divorata dai topi. Resta il ricordo di Julius Evola: la sua opera. Meglio, il suo Opus. Molto lontano, il livore di uomini piccoli piccoli, e troppo vicino, il santino di Evola, l’immaginetta (s)fatta da mani senza stile, senza verità, senza amore. Due realtà parimenti perniciose e ghettizzanti, due facce della stessa impotenza a penetrare il segreto di una esistenza, nell’etimo, straordinaria. Un’esistenza che impone la necessità di una giusta distanza critica, quel doppio sguardo di cui parla Nietzsche, del quale varrebbe forse la pena ricordare l’irridente e inquietante domanda e adeguarla alla s-fortuna critica di Evola: “Sono stato compres(s)o?”, per poi arrendersi alla piattezza in-significante di pillole di pregiudizio confezionate da una vulgata orecchiante. Sarebbe penoso ripercorrere qui la sconcertante serie di malintesi, di traviamenti, di insulti, ma anche di partecipati consensi, di elogi e difese che hanno sfregiato il volto bifronte di quest’uomo enigmatico, in un’ermeneutica dell’orrore da destra e da sinistra che ha rivelato nei cultori e nei detrattori del caso Evola, la stessa mancanza di obiettività, come capacità di comprendere il proprio “contro”, di compatire. Se esiste un inferno della cultura italiana, Evola è Lucifero. Sul paradiso garrisce barriera bianca. Il vento è stato quello dell’egemonia marxista, ormai (s)finita. Ma all’adunata romantik dell’editoria color pastello, l’eterno escluso geme incompreso.Davvero Evola è l’inassimilabile par excellence? E soprattutto: chi è Julius Evola? Perché il suo pensiero-realtà riesce a ispirare i più audaci sogni di libertà e a realizzare le cadute più ingloriose? Ha ancora un senso oggi parlare della sua opera oltre la potenza pietrificante del pregiudizio e dell’incultura che, nel quadro di una ignoranza (co)scientemente coltivata, hanno trasformato un grande studioso in una statua da venerare o da distruggere?...>>
ALESSIO DE GIGLIO, lo incipit della Introduzione alla sua splendida tesi di laurea in Filosofia presso la Sapienza di Roma, discussa durante l'Anno Accademico 2008/2009, e intitolata Julius Evola: la comunità degli Individui Assoluti (l'ho trovata quasi per caso in Web e ne sono ben lieto, perché è davvero uno di quei gioiellini che solitamente ci sfuggono e col tempo svaniscono nel nulla, non essendo loro data adeguata attenzione e diffusione...)
Ma non sto a parlarne ora e in questa sede, sia perché il mio proposito in questo blog è sostanzialmente quello di informare con assoluta e rigorosa imparzialità - e, naturalmente, con l'umiltà di chi non si considera uno specialista, ma solo e semplicemente un lettore affamato che vuole condividere con altri lettori affamati le proprie leccorniose letture; e sia perché gli ostracismi e le ingiustizie subìte dal grande Evola sono stati e sono ancora di natura prettamente politica, e la politica non è tra i miei campi d'azione - per lo meno non finché vivo in questa italietta plebea dove politica non fa certo rima con cultura; e, d'altronde, l'operato di Evola non è certo da considerarsi politico in senso letterale, sarebbe decisamente riduttivo, e, forse, anche un vero e proprio insulto.
Se poi intendete approfondire, credo che non vi sia idea migliore di dare un'occhiata all'ottimo sito di De Turris, che è poi il sito ufficiale della Fondazione Julius Evola, di cui ho postato sopra l'URL (sotto la foto di Evola)...
Gianfranco De Turris in una foto presa dal blog L'eminente dignità del provvisorio - l'archivio-blog di Roberto Alfatti Appetiti, inserita in un'intervista di Giuliano Rocca (pubblicata sul Secolo d'Italia il 20 dicembre 2011) al più noto esegeta evoliano d'Italia...
<<Si tratterebbe di una nuova opera con titolo "La dottrina del risveglio" e sottotitolo "Saggio sull'ascesi buddhista". E' infatti un'opera, che sto in via di organizzare definitivamente, sopra il lato pratico e virile dell'insegnamento buddhista, con particolare riguardo a quel che non è semplice teoria, ma sapienza di vita e volontà d'incondizionato. Ritengo che l'inquadramento della dottrina buddhista fatto su questa base ed esposto in modo ad ognuno accessibile in questo libro, costituisca qualcosa di originale e tale da non interessare semplicemente una cerchia ristretta di studiosi...>>
Il manoscritto definitivo viene quindi spedito il 30 novembre del '42, viene dato alle stampe nel febbraio '43, infine la prima edizione esce (ma senza un'adeguata diffusione) nel famigerato settembre - uno dei momenti più bui della storia d'Italia, e per vederne una prima effettiva divulgazione bisognerà attendere l'immediato Dopoguerra...
<<In questa atmosfera tragica, in cui si sarebbe atteso da parte degli intellettuali un atteggiamento combattivo, fondato sui valori dell'azione, del coraggio e dell'eroismo, Julius Evola dava da leggere al suo pubblico un libro sul buddhismo! Tenuto conto dell'immagine che l'Occidente si era fatta delle tradizioni orientali e più in particolare dell'insegnamento di Shâkya Muni, si può pensare che tra i numerosi lettori potenziali di un'opera così inattesa in un periodo cruciale della storia d'Italia, ci dovette essere chi vide in questo "saggio sull'ascesi buddhista" una sorta di provocazione! Tanto più che le origini aristocratiche dell'autore non sembravano affatto predisporlo particolarmente ad interessarsi di una religione in cui i monaci, estraniati dal mondo, svolgono il ruolo preponderante...>>
Ma l'obiettivo di Evola era soprattutto ritrovare il buddhismo autentico, quello cioè delle origini - in genere considerato tale il buddhismo Theravada, letteralmente la 'Scuola degli Anziani', anche se pare che recentemente una rilettura dei testi più antichi, soprattutto dal Canone Cinese e Tibetano, e una serie di scoperte archeologiche stiano ridimensionando questo primato rivendicato dal Theravada. Ritrovare il buddhismo delle origini, quindi, quello storicamente più vicino al Maestro, agli enunciati 'in fieri' della sua dottrina, per dimostrare la sua totale o quasi estraneità a quel 'pacifismo' a oltranza e a quella filosofia dell'inazione e della rinuncia che normalmente si attribuiscono, appunto, al buddhismo nei contesti occidentali...
Una splendida immagine di monaci theravada presa dal sito Padrona degli eventi, inserita nel post Tentativi per classificare Theravada del 31 dicembre 2012
Sì, probabilmente una provocazione, una delle tante caustiche e squisite sferzate di Evola all'establishment accademico, ai parrucconi della sua epoca. Che forse si attendevano più un libro su Senofonte che non sul Buddha. Ma anche a quel buddhismo 'riveduto e corretto' - probabilmente 'riappiattito' sull'ottica cristiana - che già nel XIX secolo aveva cominciato a diffondersi in Europa come una moda - una sorta di New Age ante-litteram -, specie dopo la pubblicazione di Parerga e paralipomena di Schopenhauer, che ebbe grandissimi meriti di diffusione del pensiero orientale, ma, purtroppo, travisandone alquanto la sostanza, pur se in buona fede; certamente non possiamo rifiutargli le attenuanti, al filosofo di Danzica, d'altronde se non fosse stato per lui, in quanto primo importatore occidentale ufficiale del pensiero orientale, in Europa non si sarebbe mai capito che tanto il pensiero cristiano quanto persino quello greco classico potevano vantare ben poca originalità. Questo ci riporta inevitabilmente a Platone, a Pitagora, all'essenismo nazareno, alle scuole gnostiche del I secolo, allo stesso culto di Mithra (1400 a.C.), rubacchiato prima al vedismo dal mazdeismo persiano poi al mazdeismo dalla cultura ellenistica infine alla cultura ellenistica dal cristianesimo che vi edificò buona parte della sua dottrina dal Concilio di Nicea in poi...
Ritrovare, dicevamo, il buddhismo delle origini, senza più intermediazioni, contaminazioni e travisamenti, se non persino adeguamenti alla cultura occidentale, com'è toccato per esempio alla ben nota idea orientale (non solo buddhista) di vacuità (o 'vuoto'), che le correnti antipositiviste tra XIX e XX secolo trasformarono in un concetto di vanità perfettamente sintonizzato sul fatalismo ereditato in Occidente dalla mistica abramitica, mentre certo integralismo cristiano vi identificò addirittura il diabolico untore della peste del nihilismo che all'epoca imperversava in Europa...
recitano alcuni famosi versi del Prajñaparamita Hrdaya, o 'Sutra del Cuore', del I secolo, che è il 'testo-chiave' del śūnyatā , cioè il 'concetto di vacuità' buddhista...<<La forma non è distinta dal vuoto, il vuoto non è distinto dalla forma; la forma è proprio tale vuoto, il vuoto è proprio tale forma; se questa è la forma tale è il vuoto, se questo è il vuoto tale è la forma>>,
Il Prajñaparamita Hrdaya o Sutra del Cuore nella copia datata 635 del grande calligrafo cinese di scuola confuciana Ouyang Xun
scriveva Jean Varenne nel breve saggio citato prima,<<L'ascesi buddhista non è una rassegnazione pusillanime alle disgrazie della vita>>,
<<Ma un combattimento che per essere d'ordine spirituale non è meno eroico di quello di un cavaliere su un campo di battaglia (...) Evola si prodiga instancabilmente per cancellare questa immagine fiacca e sbiadita che l'Occidente si è creata di una dottrina che, all'origine, si voleva fosse aristocratica e riservata a dei 'campioni'. Si sa in effetti che dopo Schopenhauer, nella cultura occidentale si è diffusa l'idea che il buddhismo insegnasse una rinuncia al mondo intesa quale atteggiamento passivo (...) E l'immagine più corrente che ci facciamo dei buddhisti è quella di monaci con vesti arancioni che mendicano il loro cibo (...) Evola ha buon gioco nel mostrare che questa visione è profondamente falsata da una serie di pregiudizi...>>
Vi è una parabolina molto divertente diffusa negli ambienti del buddhismo Zen che vorrei raccontarvi (anche se lo Zen c'entra poco o niente col Theravada e con la Dottrina del Risveglio di Evola): nel XIX secolo un docente universitario andò a trovare un maestro di Zen, per conoscere meglio quella filosofia così nota per i suoi insegnamenti bizzarri; ma, durante la conversazione, era soprattutto il docente che parlava, e parlava per ore e ore, mentre il maestro se ne stava tranquillo ad ascoltare; quindi il maestro, come consuetudine, preparò il tè, dopo di che lo versò nella tazza del docente, ma lo lasciò tracimare dalla tazza; il docente esclamò il suo disappunto, e il maestro allora gli disse: "vedi, tu come questa tazza sei pieno delle tue idee personali, che sono appunto soltanto le tue idee personali. Come potrei insegnarti qualcosa, se tu prima non vuoti la tua tazza?"...
Ma quello che interessa a Evola - che non è <<un buddhista o uno specialista del buddhismo>> come ci teneva a sottolineare lui stesso, ma soltanto un uomo del Kali-Yuga, l'età ultima, l'età <<della dissoluzione>> dello spirituale nel materialismo, un uomo che nel buddhismo individua una delle <<tante vie di salvezza>> - è soprattutto l'ascesi intesa come pratica effettiva di azione e meditazione congiunte, quella <<tecnica di realizzazione spirituale>> che conduca appunto al dominio di sè e quindi al risveglio, alla salvezza, all'illuminazione, alla decondizionalizzazione, a quei <<punti di riferimento trascendente>> che sono stati perduti. <<Il buddhismo originario>>, per Evola, <<è stato formulato in vista di una condizione dell'uomo, la quale, ancora lontana da quella del materialismo occidentale e della correlativa eclissi di ogni sapere tradizionale vivente, tuttavia di essa già conteneva in un certo modo i prodromi e le potenzialità...>>
Quindi un'ascesi applicabile anche all'uomo moderno, che necessita di un <<distacco dal mondo>> che, se lo si interpreta soprattutto in senso mentale, interiore,
<<Esso si presenta forse come più facile da realizzare oggi, che non in una civiltà più normale e tradizionale. In una grande città d'Europa o d'America, fra grattacieli e asfalti, fra masse politiche e sportive, fra gente che balla o schiamazza, o fra esponenti di una cultura sconsacrata e di una scienza disanimata, e simili - in tutto ciò ci si può forse sentire più soli, distaccati e nomadi che non al tempo del buddhismo nelle condizioni di un isolamento fisico e di un reale peregrinare...>>
Il Buddha Amida Nyorai in stato di vipassana, raffigurato nella celebre Daibutsu, un gigante di bronzo che supera gli 11 metri, è fra le opere più pregiate del patrimonio artistico giapponese ed è collocato all'ingresso del tempio Kōtoku-in nella città di Kamakura. La foto è stata presa dal sito Tokyo Thrift
Un asceta, quindi, il Buddha evoliano, che - se riportato alle sue origini e quindi decontaminato dalle successive 'scolasticizzazioni' che ne hanno fatto, suo malgrado, il fondatore della seconda religione nel mondo - non solo può essere una guida per l'uomo occidentale e moderno, appunto al di là di ogni paradosso e di ogni malinteso, ma anche in qualche modo ricollegabile - nel suo aspetto 'aristocratico' e 'guerriero' - ai <<cavalieri erranti del nostro Medioevo, che mettevano la loro spada sl servizio di ogni nobile causa senza attendersi alcun compenso>>, come puntualmente ricorda il più volte citato Jean Varenne...
Un asceta-guerriero, pertanto ricollegabile anche agli atleti dell'antica Grecia, per i quali fu coniato il termine ἄσκησις (áskēsis), letteralmente 'esercizio, disciplina, apprendimento'; e che si sottoponevano a durissimi esercizi non solo fisici ma anche e forse soprattutto spirituali, come la stessa cultura greca e lo stesso principe Siddharta ebbero ereditato dagli yogi della cultura vedica prima e brahmanica poi...
Adolfo Morganti in una foto presa dal sito Identità Europea, inserita nel post dello stesso Morganti: Piccoli Stati insieme. Riscoprire storia e valori comuni per ricostruire la Koinè adriatica
Per concludere, un asceta-guerriero che rappresenta - per dirla con Adolfo Morganti (lo psicologo e psicoterapeuta padovano trapiantato a San Marino, del quale sono ben noti sia gli studi di filosofia orientale e di storia delle religioni in genere, sia l'attivismo politico in ambito 'paneuropeistico'), il cui breve saggio Julius Evola e il mondo buddhista italiano fa da appendice a questa IV edizione...
<<La contrapposizione tra ascesi e religione (...) all'interno del buddhismo; una chiara "scelta di campo" a favore della prima, per cui il buddhismo viene accettato come via esistenziale proprio in quanto è interpretato, almeno alle sue origini, come una nuda ascesi, libera e distinta da ogni forma di culto; la ricerca di una spiritualità attiva per "uscire dal mondo borghese" senza autolimitarsi al livello immanente delle ideologie e delle costruzioni politiche; il rifiuto di ogni "chiesa" e di ogni moralismo...>>
(25 aprile 2013)
jun-zi guan









Nessun commento:
Posta un commento